La
storia della lettura è legata alla storia della scrittura, nata nel mondo egeo,
fra Mesopotamia ed Egitto. All’inizio si scrivevano geroglifici che combinavano
elementi ideografici, sillabici e alfabetici. In seguito è
arrivata la scrittura lineare, affermatasi nella versione divulgata dai fenici,
grandi navigatori, che l’hanno diffusa fra i popoli mediterranei. Nella prima
versione, le parole erano separate l’una dall’altra per mezzo di un punto o di
uno spazio. Non vigeva ancora una regola fissa. Mancavano le vocali e la
decifrazione del testo, lenta e
faticosa, richiedeva la lettura ad alta voce che facilitava la
comprensione dello scritto. Una testimonianza di questo cambiamento di modalità
della lettura la fornisce sant’Agostino nella pagina delle Confessioni dove racconta la sua sorpresa nel trovare sant’Ambrogio
in chiesa con un codice in mano, intento a leggere in silenzio.
Tutti, da bambini, abbiamo iniziato a
leggere ad alta voce. Più o meno presto siamo passati alla lettura silenziosa.
Non c’è una sola forma di lettura. C’è quella attenta, vigile, razionale, riservata
ai testi di studio e di ricerca, alla saggistica tecnica o scientifica. La
lettura della narrativa, come chiarì David Hume poco dopo la nascita del
romanzo moderno, assume invece «la forma di un pensiero guidato dalle emozioni».
Fino al seicento la lettura era in larga parte un rito collettivo. La
bassissima alfabetizzazione faceva sì che una voce lettrice comunicasse il
testo scritto a un pubblico di ascoltatori. La lettura individuale era
esercitata da un esiguo numero di esperti lettori. In pubblico si leggevano
anche i testi letterari. Si dava il caso che questi lettori professionisti non aa
in grado di capire ciò che leggevano, quando erano impegnati con testi scientifici
o tecnici. Un notevole impulso alla diffusione della lettura arrivò
dall’invenzione della stampa tipografica a caratteri mobili. Nel 1450 dai
torchi del laboratorio di Gutenberg fu stampato il primo libro che, fra le
altre cose, meglio dei rotoli si prestava a una lettura ad alta voce, effettuata
da un lettore alfabeta a vantaggio di un pubblico analfabeta. Lo testimonia
Cervantes che, all’inizio del capitolo LXVI della seconda parte del Don Chisciotte si rivolge, com’è solito
fare, al lettore: il capitolo, dice, «tratta di ciò che vedrà chi lo leggerà, o
che sentirà chi se lo fa leggere». Un caso di lettura oralizzata molto comune
all’inizio del seicento, quando Cervantes scriveva. Alla divulgazione del libro
stampato molto contribuì Aldo Manuzio, geniale tipografo, la cui attività
editoriale ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione della lettura. I suoi
eleganti volumi in ottavo, tascabili e maneggevoli, facilitarono la conoscenza
degli autori classici, nel rinascimento. In una lettera del 1513, Niccolò Machiavelli
racconta a un amico le sue mattinate in campagna, trascorse nella lettura di
Ovidio o di Tibullo, seduto all’ombra di un albero. Per godersi la lettura di
un buon libro, non c’era più bisogno degli ingombranti leggii di un tempo. Libri
maneggevoli, da portare in viaggio, esistevano anche prima di Manuzio. Lo
documenta Francesco Petrarca che, nel resoconto della sua celebre ascensione
sul Mont Ventoux, afferma di essersi rilassato, una volta raggiunta la sommità,
con la lettura di una copia tascabile delle Confessioni
di sant’Agostino.
La scrittura gotica fu definitivamente
messa al bando dagli umanisti che la consideravano tipica manifestazione della
incultura dei popoli barbari del medioevo. Già un proto umanista come Petrarca,
gran lettore, aveva auspicato: «una scrittura libraria esatta e chiara e
piacevole all’occhio». Sarà Manuzio, un secolo dopo, a fornirla ai lettori. Si
fece ricorso anche al corsivo, semplice e poco ingombrante. Gli artisti del
primo rinascimento, nelle loro iscrizioni sui dipinti adottarono l’elegante
capitale quadrata romana, carattere maiuscolo simmetrico e chiarissimo. Dal
cinquecento in poi, il libro a stampa, economico e maneggevole, conquista un
nuovo pubblico di lettori. L’editoria si attrezza e si aggiorna. fra editore e
lettore funziona da tramite il libraio e nasce la figura del venditore
ambulante di libri, attivo sia in città che in campagna. La lettura non è più
svago per pochi colti eletti, diventa pratica più diffusa e popolare. La nuova,
diversa impaginazione dei testi stampati,
con le parole separate, permise un lettura più veloce e silenziosa. La lettura
silenziosa che consentiva di nascondere agli altri cosa si stesse leggendo,
favorì la diffusione scritta delle culture laiche ed eretiche, negli anni della
riforma e della controriforma. Lo sviluppo, nel seicento, di un’utenza popolare,
poco alfabetizzata, stimolò la nascita di un’editoria specializzata in testi popolari: ballate,
almanacchi, scritti di magia e oroscopi,
versioni semplificate dei racconti picareschi e di cavalleria. Nascono anche le
prime collane di libri economici. Primi tascabili sono i chapbooks inglesi e la francese “Bibliothèque bleue“.
L’alto
costo dei libri, nel settecento incoraggiò nascita e sviluppo di biblioteche
circolanti che i libri li davano in prestito, dietro abbonamento. I libri si
potevano leggere senza comprarli, in prestito temporaneo, anche nelle società
di lettura. Per rendere più comoda la lettura si cominciarono a produrre «mobili per la lettura», sedie a sdraio con
leggio incorporato, destinate soprattutto al pubblico femminile, alle signore
della buona società che, coperte da una calda liseuse, parola francese derivante dal verbo lire, leggere, si dedicavano al piacere della lettura nel loro boudoir. Ma, nel settecento, la lettura
era sconsigliata alle donne, si considerava nociva per la salute e per la
bellezza, si diceva che potesse danneggiare la vista, sciupare la figura,
provocare svenimenti e alterazioni del ritmo cardiaco. Meglio dedicarsi al più
innocuo ricamo. Se proprio volessero farlo, era preferibile farlo in compagnia
di altri lettori o lettrici. La lettura solitaria poteva indurre pigrizia,
egoismo, erotismo. In quel secolo la lettura non era giudicata in base alla
qualità dei testi bensì secondo una graduatoria di generi letterari. Al primo
posto, come lettura più raccomandabile, si collocavano i testi sacri,
all’ultimo i romanzi che, a sentire gli accusatori, richiedevano una «forma di
lettura veloce, deconcentrata, quasi inconsapevole».
Lettura «narcotica» secondo il filosofo Fichte, che non amava i romanzi. Notevole
impulso all’aumento del pubblico dei
lettori lo diedero alcuni clamorosi successi editoriali: la Pamela di Richardson in Inghilterra, il Werther di Goethe in Germania, la Nouvelle
Héloȉse di Rousseau in Francia. Le biblioteche circolanti fiorirono
in tutta Europa, in quel secolo. Per gli avversari della lettura, non fornivano
un servizio sociale e culturale, erano invece «ricettacoli di corruzione morale
e bordelli» che avvelenavano i popoli con l’«arsenico dello spirito». In quel
secolo, la lettura estensiva sostituì la lettura intensiva. Il lettore
intensivo aveva a disposizione un numero molto limitato di libri che leggeva e
rileggeva in continuazione. Dopo l’invenzione della stampa e il grande sviluppo
della produzione libraria, il lettore estensivo ebbe modo di consumare molti
testi differenti. Al tempo di Goethe in Germania si parlò di Lesewut, «rabbia di leggere». Una
maniera rabbiosa, compulsiva, maniacale di affrontare la lettura. La lettura intensiva
non scomparve. Anzi, alcuni romanzi di grande successo, come il Werther di Goethe oppure il Paolo e Virginia di Bernardin De
Saint-Pierre divennero oggetti
di culto, letti e riletti, imparati a memoria, recitati in pubblico. Alla
lettura si accordava tanta importanza da far avanzare, a fine secolo, l’ipotesi
secondo cui fra i fattori che avevano preparato la rivoluzione francese e la caduta
degli anciens régimes europei bisognasse collocare anche l’eccessiva
diffusione della lettura. A esempio della degenerazione di quella pratica
scellerata si portava il caso degli operai edili inglesi che, ormai, nelle
pause del lavoro ingannavano il tempo non con il tradizionale tè, ma con la lettura
del giornale. Si parlò di bibliofagia, di «furore di leggere», di lettura come
malattia sociale, di vera e propria epidemia incurabile.
Già nel settecento i romanzi erano letti
in prevalenza dal pubblico femminile. Sin dalle origini, a partire dalla Pamela di Richardson, filo conduttore
del racconto era l’amore e la sua destinazione sociale, matrimonio e famiglia. protagonista ideale era la donna o,
meglio, la fanciulla votata alle nozze e destinata a sposarsi, a trovar
partito. Nei maggiori romanzi, le protagoniste in gonnella sono designate soltanto
con il nome di battesimo, Clarissa, Pamela, Emma, Charlotte, Justine. E l’amore
di cui si nutre il romanzo moderno è l’amor sentimentale che è cosa diversa
dall’amore cortese, intorno al quale rotava la narrativa medievale,
cavalleresca. Nel secondo ottocento, ,nell’età dell’alfabetizzazione di massa,
aumenta a dismisura il numero delle lettrici. Grazie a loro, si consolida il
mercato di manuali di cucina, delle riviste femminili, e, soprattutto, dei
romanzi popolari economici. Gli editori curano questa fetta di mercato. A
Milano l’editore Stella lancia una collana
di pubblicazioni destinate «ale donne gentili».
Con il vostro permesso vorrei, in
conclusione, proporvi una considerazione personale. Un luogo comune vuole che
la lettura sia una buona occasione per passare il tempo. In verità ci permette
di prendere atto del nostro rapporto con
il tempo, perché produce una sospensione del tempo ordinario, sostituito dal
tempo narrato. È una forma di evasione dalla realtà e di immersione in una
realtà parallela.